Elleboro: Rosa di Natale e Fiore della Follia

L’Elleboro (Helleborus niger) è una pianta erbacea perenne che raggiunge i 40 cm di altezza, appartenente alle Ranunculaceae, con foglie coriacee sempreverdi di colore verde intenso. Il nome deriva dal greco e fa riferimento all’uso medicinale  ponendo in evidenza la sua caratteristica velenosa capace di anche di togliere la vita. L’attributo “niger” (nero) si riferisce al colore scuro del rizoma.

Helleborus niger subsp. niger

Helleborus Niger L. foto di A. Moro

Un noto mito greco racconta che Melampo, l’”uomo dal piede nero”, era capace di guarire dalla follia gli uomini. Grazie all’elleboro guarì le figlie del re di Tirinto -Preto-, mescolandolo all’acqua che esse bevevano. Questo ci porta a pensare che, fino dall’antichità, la pianta fosse ritenuta una medicina per le malattie mentali. Questa caratteristica deriva dal fatto che il rizoma contiene un glicoside in grado, se somministrato in piccole e controllate dosi, di calmare e narcotizzare. Si racconta che i filosofi ne facessero uso per raggiungere uno stato ipnotico paragonabile allo stato di meditazione profonda.

Helleborus niger subsp. niger

Helleborus Niger L. foto di A. Moro

Proprio questa pianta, secondo alcuni, potrebbe aver causato la morte di Alessandro Magno il quale l’avrebbe assunta essendogli stata prescritta come cura di una malattia febbrile (probabilmente malaria) contratta durante le campagne militari.

Lo scrittore greco Pausania (secondo sec. d.C.), nel Decimo libro della Guida della Grecia, racconta, inoltre, che i Cirresi durante l’assedio a di Atene, bevvero l’acqua del fiume dove Solone aveva fatto gettare grandi quantità di elleboro avvelenandola. Fu così che, colpiti da una debilitante dissenteria, abbandonarono l’assedio.

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Secondo una leggenda inglese invece, chi sparge la polvere della radice mentre cammina, potrà acquisire il dono dell’invisibilità.

L’Helleborus niger apre i suoi fiori bianchi da dicembre in poi e, forse per questo motivo, viene anche chiamato “Rosa di Natale”.

Non poteva dunque non nascere anche una leggenda cristiana incentrata su questa pianta delicata ma resistente. Protagonista è una pastorella che, vedendo i bellissimi doni recati a Betlemme dai Re Magi, desiderò fare un bel regalo a Gesù ma, non avendo nulla da offrire, pianse tristemente. Dalle sue lacrime cadute al suolo vide spuntare i bianchi fiori dalle antere gialle come oro che immediatamente raccolse e donò al bambino nella mangiatoia.

Nella tradizione popolare l’elleboro nei campi aveva funzione predittiva. In una crescita rigogliosa, i contadini vedevano una buona stagione di raccolti.

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Giasone e Medea, G. Moreau (1865). Ellebori coprono i fianchi di Medea

Habitat naturale della pianta sono le pinete, le faggete ed i boschi submediterranei. Predilige un substrato calcareo e si trova ad altitudini comprese fra i 300 ed i 1000 metri slm.

Fino dai primi del Novecento fu utilizzata anche nella costruzione dei giardini di tutta Europa, utilizzati nelle bordure, nelle aiuole ed in vaso. Gli ellebori presentano, a seconda della varietà,  con fiori dai colori tenui o vivaci; si coltivano abbastanza facilmente, non necessitano di piena luce e, soprattutto in estate, amano stare in ombra. Sono piante resistenti al freddo ma desiderano un terreno ricco di humus e ben drenato ed annaffiature regolari soprattutto in caso di periodi siccitosi. (tdb)

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 Primavera, S. Botticelli (1482 ca). Dettaglio con Elleboro 
(nel riquadro tratteggiato giallo)

 

 

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