I reliquiari sono contenitori, generalmente molto preziosi, la cui funzione è quella di conservare e mostrare (in quest’ultimo caso sono anche ostensori) resti di santi o martiri o di oggetti ad essi appartenuti. Indipendentemente dalla loro autenticità, il culto delle reliquie è un fenomeno religioso ma anche politico, economico e, non ultimo, artistico.

La città di Prato è strettamente “legata”, fino dal lontano medioevo alla sua famosa reliquia costituita dalla Sacra Cintola della Madonna, indumento secondo la tradizione, donato dalla Vergine a San Tommaso che, dopo varie vicissitudini, fu portato in città da un mercante pratese di ritorno dalla Terra Santa (Michele Dagomari -?-). Consegnata da Michele alla pieve di Santo Stefano la reliquia è divenuta oggetto di identificazione religiosa e laica della comunità pratese. Non a caso sia il Comune che la Chiesa ne sono i custodi e possiedono entrambi le chiavi che servono per aprire lo scrigno che la contiene e che dimora ancora oggi nella Cattedrale di S. Stefano nella bellissima cappella affrescata da Agnolo Gaddi con le Storie della Cintola (Cappella del Sacro Cingolo).

Storie della Sacra Cintola, B. Daddi 1338
Secondo la tradizione il primo contenitore della cintola sembra essere stato un cestino di giunchi, raffigurato sia nella predella di Bernardo Daddi (1338) sia negli affreschi del Gaddi nella cappella del Duomo. Nel cestino, secondo alcuni inventari, la cintola era adagiata avvolta in un velo. La prima teca di cui si hanno notizie certe risale al XIV secolo ed è una cassettina in avorio dove la cintola viene riposta ripiegata e sempre protetta in un velo. Questa cassetta a sua volta era posta in un più grande contenitore di legno e ferro che veniva tenuto chiuso a chiave all’interno dell’altare .

Storie della Sacra Cintola, (particolare) B. Daddi 1338
Nel 1446, Maso di Bartolomeo realizzò -su commissione- un vero gioiello realizzando la piccola Capsella per il Sacro Cingolo che ha contenuto la reliquia fino al 1633. La Capsella è uno scrigno con caratteri decisamente rinascimentali costruito con avorio, corno e rame dorato su struttura di legno. E’ immaginato come un tempietto a pianta rettangolare circondato da un portico sui quattro lati con un motivo decorativo che riprende la delicata danza dei putti di stampo donatelliano. Il sacro cingolo veniva conservato sempre ripiegato dopo ogni ostensione pubblica quando la cintura veniva estratta e distesa dalle mani guantate dei vescovi. Nonostante questa premura ci si accorse che il continuo maneggiamento della delicata reliquia comportava un certo stress per i materiali di cui essa era composta, ragion per cui fu deciso di far costruire una nuova teca nella quale il cingolo potesse rimanere sempre disteso.

Fu progettata e costruita, in una bottega orafa fiorentina, un nuova teca: una scatola in argento, finemente sbalzata e cesellata, bassa e lunga quanto il cingolo al fine di poterlo riporre senza piegature. Purtroppo anche questa soluzione non era quella ideale poiché imponeva il dover comunque prendere la reliquia con le mani dalla custodia per mostrarla nelle varie ricorrenze.


Per ovviare a ciò nel 1638 fu realizzato un nuovo reliquiario, trasparente, e finemente decorato. Anche questo astuccio di forma rettangolare, lungo circa 90 cm e costituito da cristallo di rocca, veniva riposto col suo prezioso contenuto all’interno della precedente custodia in argento opportunamente fatta allungare e rimodellare per questa nuova funzione nel 1641.

La teca che ha contenuto il Sacro cingolo fino al 2008 fu realizzata a Milano ed ha legature in argento dorato e applicazioni in oro e oro smaltato con forme decorative per lo più ispirate a motivi vegetali.
Nel 2008 la teca rimasta in servizio per quasi quattro secoli è stata inviata all’Opificio delle Pietre Dure di Firenze per un necessario intervento di restauro.(*)
Sempre nel 2008 la cintola viene trasferita nel nuovo reliquiario fatto realizzare dall’orafo padovano Giampaolo Babetto. Il progetto del nuovo astuccio è molto lineare e poco concede alla decorazione rimandando la “preziosità” dell’oggetto principalmente alla scelta dei materiali di cui la teca è composta: oro, argento, cristallo di rocca e pietre dure, a costituire nuovamente una scatola rettangolare lunga e bassa. Dal punto di vista formale e funzionale viene dunque riproposta la teca secentesca che permette l’ostensione della cintola senza doverla estrarre e manipolare.
Smalti e pietre colorati, foglioline, volute e visi di cherubini lasciano il posto alle linee rette e seriose del volume di cristallo ed ai contemporanei e stilizzati simboli del Comune e della Chiesa contrapposti agli estremi del trasparente involucro, a sottolineare il continuo e comune impegno nella cura e nella trasmissione ai posteri di uno dei simboli più antichi ed importanti della città di Prato. (tdb)


L'attuale teca della Sacra Cintola contenuta in una cassetta lignea realizzata in legno di rosa del Brasile. Il tessuto che la riveste è stato ideato dagli allievi e dai professori delle classi tessili dell'Istituto Tullio Buzzi di Prato
(*)Il reliquiario infatti recava i segni dell’usura secolare causata dalle numerose ostensioni. Al contrario della robusta struttura, i delicati elementi in oro smaltato applicati su di essa risultavano in larga parte spezzati, deformati o lacunosi. E’ probabile che a causa della loro forma così articolata, rimanessero spesso impigliati nelle vesti vescovili durante la cerimonia dell’ostensione.
Essendo rimasto in uso dalla metà del Seicento fino ai giorni nostri, il reliquiario ha subito numerosi interventi di manutenzione; il più evidente, quello di Giuseppe Landini nel 1707, ha visto il totale rifacimento a imitazione di alcuni elementi, riconoscibili dal diverso spessore del metallo e dalla diversa cromia degli smalti.
Una volta smontata la struttura in tutte le sue parti è emerso, nella parte interna, un massiccio intervento di saldatura a stagno, volto a stabilizzare i tanti frammenti che compongono le decorazioni perimetrali, ormai consunte. Numerosi elementi della cornice interna risultavano spezzati e mancanti di alcune parti di collegamento. Le superfici metalliche presentavano un buono stato di conservazione, e solo un deposito pulverulento misto a materiali cerosi negli interstizi e nei sottosquadri del modellato.
L’intervento di restauro ha mirato al consolidamento delle varie fratture per un ripristino dell’integrità formale degli elementi e in generale dell’opera. Questa operazione è stata possibile grazie alla saldatura a mezzo laser, con il quale sono state effettuate numerose saldature sulle parti in oro che risultavano scomposte in più frammenti.
Le microsaldature hanno permesso di ricostruire molti elementi decorativi, senza danneggiare gli smalti presenti. Le parti deformate sono state lentamente riportate alla loro forma originale per mezzo di graduali azioni meccaniche e lievi apporti di calore.
Gli elementi decorativi che risultavano lacunosi sono stati integrati con microfusioni in oro, realizzate su calco di altri elementi uguali e integri. La scelta di utilizzare oro di fusione ha permesso l’unione di parti originali e rifacimenti tramite piccole saldature con il laser e ha garantito una perfetta compatibilità tra i materiali originali del reliquiario e quelli aggiunti.
Le integrazioni sono state limitate a quelle parti che altrimenti non sarebbe stato possibile ricollocare poiché prive di connessioni. Date le numerose lacune, un intervento massiccio di integrazione avrebbe falsato l’originalità del reliquiario. Alcuni elementi meccanici (viti e dadi) che erano andati perduti sono stati riproposti in argento dorato simulando le forme di quelli ancora presenti.
1 pensiero su “Le teche del Sacro Cingolo”