Possiamo salvare il mondo, prima di cena. Perché il clima siamo noi

Il cambiamento climatico è qualcosa di difficile da comprendere e di scomodo da accettare. La maggior parte delle persone preferisce non affrontare direttamente il problema, pensa -incoscientemente- che sia qualcosa che non ci riguarda o addirittura di non completamente credibile ed ancora da studiare, nonostante il fatto che ormai la quasi totalità degli scienziati ne abbia decretato la drammatica reale esistenza e pericolosità. L’ultimo libro di Jonathan Safran Foer, giovane e già noto scrittore statunitense di origine ebraica, in modo chiaro e con una scrittura che corre via leggera e coinvolgente, cerca di far capire perché in fondo non siamo capaci di “credere” alle evidenze scientifiche sui cambiamenti climatici e perché questo ci impedisce di operare, individualmente, scelte che avrebbero come risultato quello di allontanare l’innalzamento della temperatura terrestre dal punto di non ritorno.

La tesi sostenuta dallo scrittore evidenzia lo stretto rapporto tra la crisi climatica, le devastazioni ambientali ed il nostro modo di nutrirci. Essa ha ovviamente implicazioni etiche e politiche, è supportata da un nutrito corpo di dati scientifici ed è esposta attraverso una bella narrazione letteraria che,  partendo dall’esperienza di vita dell’autore e della storia della propria famiglia, arriva a dare una risposta ad una delle domande più importanti di questo inizio di secolo che ogni persona dotata di buon senso e di vero interesse per il futuro del pianeta si pone: cosa possiamo fare individualmente per frenare il riscaldamento globale e consegnare ai posteri una terra ancora vivibile? Un libro bello e necessario. (tdb)“La terra che potrebbe nutrire le popolazioni affamate viene invece riservata al bestiame che nutrirà popolazioni ipernutrite. Quando pensiamo allo spreco di cibo, dobbiamo smettere di immaginare pasti mangiati a metà e invece concentrarci sullo spreco creato per mettere il cibo nel piatto. Possono volerci fino a ventisei calorie di mangime perché un animale produca una sola caloria di carne. Jean Ziegler, ex relatore speciale delle Nazioni Unite sul diritto al cibo, ha scritto che destinare cento milioni di tonnellate di cereali e mais alla produzione di biocarburanti è un “crimine contro l’umanità”, in un mondo in cui quasi un miliardo di persone soffrono la fame. Potremmo definire quel crimine un “omicidio preterintenzionale”. Ma Ziegler non ha aggiunto che ogni anno l’allevamento destina una quantità sette volte maggiore di cereali e mais -sufficiente a sfamare tutte le persone denutrite del pianeta- all’allevamento di animali che diventeranno cibo per la popolazione ricca. Potremmo definire quel crimine un <<genocidio>>. Quindi no, l’allevamento intensivo non  <<nutre il mondo>>. L’allevamento intensivo affama il mondo, e intanto lo distrugge”. (*)

(*) citazione da “Possiamo salvare il mondo, prima di cena. Perché il clima siamo noi”

Editore: Guanda; Collana: Biblioteca della Fenice; Anno edizione: 2019; ISBN 9788823521216; pgg.184-185

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